Anna Maria, 37 anni, vive in un piccolo paese della nostra Isola - la Sardegna - è sposata da 13 anni con Giuseppe, 40 anni, insegna ed ha un bimbo di 20 mesi nato grazie alla donazione di un ovocita (questo dati si riferiscono al momento della intervista).
Ha deciso di raccontare la sua storia, pur conservando l’anonimato, perché ritiene che altri possano trarre quella forza, quella “marcia in più” per superare le difficoltà che queste scelte comportano. Il cammino di Anna Maria è durato nove anni, con speranze, fallimenti, lacrime ma tanta determinazione. Prima di riuscire a diagnosticare che il problema vero della sterilità era legato alla scarsa e cattiva qualità degli ovociti, i medici hanno proposto una infinita lista di accertamenti e seguito un iter troppo lungo.
D: Perche’ dice troppo lungo? pensa che fosse possibile accorciare i tempi?
R: Nel nostro caso probabilmente sarebbe stato possibile ridurre i tempi. Vede, io sono cattolica praticante, (oggi con una fede un po’ traballante) ed ero convinta che i metodi anticoncezionali naturali – Ogino Knaus, coito interrotto, astensione – fossero attendibili perché per quattro anni nel nostro caso hanno funzionato. Solo dopo ho saputo che così non era e che quel periodo poteva essere considerato tempo utile per diagnosticare la nostra situazione di coppia sterile; invece sono passati altri due anni.
D: Qual’e’ stato il percorso che avete seguito lei e suo marito?
R: Quello che prevede il protocollo per coppie che come noi hanno un verdetto di “sterilità inspiegata” quindi rapporti mirati, inseminazioni, e Fivet; solo allora si è capito che i problemi erano più gravi di quanto si immaginasse.
D: Sono stati i medici a suggerire l’eterologa?
R: No! I medici sono sempre stati molto chiari sulla qualità degli ovociti; a quel punto noi pressavamo con domande sempre più incalzanti e consapevoli, ma loro non potevano dire “badate che vi occorre una eterologa”. Arriva il momento in cui si matura l’idea e quando abbiamo fatto loro questa domanda, chiaramente, si trovarono concordi sulla conclusione da noi raggiunta.
D: Dal punto di vista psicologico, l’aver accolto un ovocita di un’altra donna le ha creato problemi? E quali sentimenti prova per questa figura di donna?
R: Nel nostro caso specifico il problema era già superato nel momento in cui abbiamo fatto domanda di adozione, perché un figlio è tale anche se non possiede il tuo patrimonio genetico. Per quanto riguarda colei che ci ha offerto il suo ovocita, il sentimento che provo è di profonda gratitudine. Non mi sono mai chiesta com’è, né perché ha fatto questa scelta, penso solo che grazie a lei ho potuto dare la vita, ho potuto provare le meravigliose emozioni della gravidanza che tutte le donne che lo desiderano dovrebbero provare.
D: Lei non ha mai temuto, neppure per un istante, di poter rifiutare il bambino? Non ha mai avuto una “fantasia” in tal senso?
R: Ma lei scherza? Sono andata a prendermelo con le unghie questo bimbo, le pare che potessi avere anche un minimo dubbio? Se lei è mamma sa perché le rispondo in questo modo. È assolutamente impensabile rinunciare al proprio bambino.
D: Sì, io sono mamma, ma lo sono diventata in modo più semplice di quanto abbia potuto fare lei, lo senti subito parte di te; quindi anche lei ha provato le stesse cose?
R: Sì, l’ho sentito subito parte di me.
D: Però pare che questi “rifiuti”possano accadere, può capitare ….
R: Può capitare che due si separino dopo un’adozione, oppure che si separino dopo un percorso di fecondazione omologa, o ancora che il bambino venga rifiutato benché nato in modo naturale …. succede! In realtà quando le crisi avvengono, le cause sono legate alla fatica della gravidanza, del parto, del dopo parto, che già in condizioni normali rappresentano periodi problematici; per noi questa fatica è amplificata dai percorsi non facili della Procreazione Medico Assistita. Dunque se le crisi ci sono non sono certo perché mettiamo in discussione le scelte che abbiamo fatto.
D: Mentre cercavate un figlio attraverso le tecniche di fecondazione assistita, chi sapeva delle vostre scelte? I vostri familiari?
R: Inizialmente ho deciso di “chiudermi” perché credevo che sarei riuscita a risolvere il mio problema senza dover raccontare niente a nessuno. Poi il peso diventava sempre più gravoso, soprattutto i “perché” non avessimo ancora un figlio si facevano più incalzanti, specie nella nostra famiglia. Ho fatto quindi la scelta di iniziare ad “educare” i miei familiari, cioè genitori, suoceri, fratelli e cognati. Quando ritenevo opportuno, quando alla televisione si parlava di questi temi, io raccontavo la nostra esperienza, le nostre scelte.
D: Perché parla di educazione?
R: Perché si tratta di educare a questa nuova cultura, perché non siamo preparati. Quindi ritenevo necessario prepararli alla prospettiva che noi potessimo ricorrere alla PMA per avere un figlio; questo era importante per me e per quelli che sarebbero diventati i miei figli. Dovevano sapere che cosa significava per noi avere un figlio e cosa questo comportasse.
D: Quali sono state le loro impressioni? Hanno accettato le vostre scelte?
R: Chiaramente sono rimasti attoniti; non se l’aspettavano. Pensare che i problemi di cui senti parlare all’esterno in realtà esistono all’interno della famiglia, fa riflettere, pone tutto sotto una luce diversa, perché “non succede solo agli altri, può succedere anche a noi”. Ci hanno sostenuto accettando e rispettando le nostre scelte. Quindi c’è stata riflessione e rivalutazione del problema, comprendendo che le tecniche di PMA poco hanno a che fare con la clonazione umana, le chimere, e quanto altro spaventa l’immaginario collettivo. Sono convinta che se ciascuna coppia adottasse questo comportamento, facendo un’opera di sensibilizzazione all’interno della propria famiglia, il processo di cambiamento sarebbe molto più veloce ed efficace. Diventerebbe superfluo rilasciare interviste, partecipare a convegni, dibattiti, tavole rotonde, dove a parlare sono sempre coloro che poco o nulla sanno di come vive il problema una coppia sterile. Con piccole battaglie potremmo vincere la guerra.
D: Dal punto di vista della fede come spiega questo mostruoso accanimento nella ricerca di un figlio?
R: Molti lo chiamano accanimento, noi lo chiamiamo “amore”. Perché un accanimento non ci permetterebbe di superare tutto quello che le tecniche di PMA comportano, non potremmo andare così lontano; un accanimento si ferma molto prima, l’amore per un figlio no! Ti fa superare tutto.
D: Ma quando lei parla di amore per un figlio cosa intende? L’amore per una vita in generale o per un figlio vero? Perché capisco che una madre per un figlio è disposta a tutto, si fa dar fuoco se occorre, ma….?
R: Vede è lo stesso amore! Io sapevo che mio figlio c’era, dovevo solo andare a prenderlo.
D: E lei ha avuto occasione all’interno della associazione di scambiare queste problematiche di fede con altre coppie?
R: Mi è capitato di parlare con persone che iniziavano i percorsi e che si ponevano le stesse problematiche che io ho affrontato ed ho potuto raccontare come le ho risolte. Però credo che si tratti di un percorso interiore che deve essere maturato. Forse parlarne aiuta , però non ho la pretesa di trovare soluzioni. Sono crescite, percorsi individuali ma anche di coppia. Personalmente posso dire che il dialogo con mio marito è stato determinante, perché insieme abbiamo potuto ridimensionare i dubbi che ci ponevamo, se cioè quello che stavamo facendo era bene o male.
D: Queste persone con le quali lei ha parlato le sono sembrate molto angustiate? Le è sembrato che il problema sia frequente?
R: No! Le coppie che si pongono questi problemi non sono molte, o meglio, non emerge come dato. Credo che anche questo sia un problema che difficilmente viene esplicitato, che resta dentro perché non se ne vuole parlare. Perché è più facile allontanarsi dalla Chiesa, accettare il rifiuto, piuttosto che cercare il dialogo, cercare una soluzione interiore che ti permetta di stare “dentro”.
Personalmente ho avuto le mie crisi che mi hanno portato a cercare delle risposte parlando con i diversi rappresentanti della Chiesa. Ciò che è emerso da questi incontri è una diversità di opinioni personali che mi hanno condotto a trarre una conclusione: anche
D: Però è il Papa che vieta queste tecniche, lei cosa ne pensa?
R: Penso che non si tratta di un dogma; penso che anche in passato
D: Ma lei cosa condivide dell’idea che così si violano i disegni di Dio, che ci si arroga il diritto di fare ciò che Dio non ha voluto, che si crea un grande disordine dal punto di vista della discendenza, dell’etica…?
R: Non riesco a condividere queste preoccupazioni perché possiedo un sentimento dominante, una convinzione dominante, e cioè che Dio è Amore ed è fonte della Vita. Se questo è vero allora non si può discutere altro; non posso pensare ad un Dio che mi ama a che allo stesso tempo mi infligga quello che altri considerano un castigo; non riesco a conciliare queste due cose. Ed allora sono convinta di aver fatto bene a fare quello che ho fatto. Se non fosse stato nel progetto di Dio mio figlio non sarebbe mai nato, sarebbe bastata una scissione cellulare sbagliata….
R: Si, credo che sarebbe importante!
R: Non lo fanno perché non sanno di essere così tanti, perché la nostra società non è ancora pronta ad accettare. Se io dovessi prestare la mia faccia in TV e dire “io ho fatto questa scelta” domani mattina sarei su tutti i giornali della Sardegna e mio figlio diventerebbe un fenomeno da baraccone. Se invece ci fosse la certezza, e la consapevolezza di essere tanti, se si parlasse apertamente nelle famiglie e ci si rendesse conto che nell’ambito di ciascuna di esse esiste una coppia che ha fatto scelte di questo tipo, ci sarebbe terreno più fertile per parlare apertamente di queste cose. Oggi ritengo che sbandierare la mia esperienza non sarebbe utile a nessuno, meno che mai, a mio figlio; ritengo di agire per il meglio operando localmente, all’interno della associazione e continuando la mia opera dentro la mia famiglia, senza avere la pretesa di cambiare il mondo in un solo colpo.
R: Tutto! Dirò quanto lo abbiamo cercato ed amato prima ancora che nascesse. Sto scrivendo per lui le sensazioni, le piccole conquiste, perché la memoria non sbiadisca.