venerdì 20 giugno 2008

Io CATTOLICA madre CONTRO la Chiesa

Anna Maria, nostra socia, ha raccontato la sua esperienza alla giornalista Marina Terragni del Corriere della Sera il 07/04/2000

Anna Maria, 37 anni, vive in un piccolo paese della nostra Isola - la Sardegna - è sposata da 13 anni con Giuseppe, 40 anni, insegna ed ha un bimbo di 20 mesi nato grazie alla donazione di un ovocita (questo dati si riferiscono al momento della intervista).

Ha deciso di raccontare la sua storia, pur conservando l’anonimato, perché ritiene che altri possano trarre quella forza, quella “marcia in più” per superare le difficoltà che queste scelte comportano. Il cammino di Anna Maria è durato nove anni, con speranze, fallimenti, lacrime ma tanta determinazione. Prima di riuscire a diagnosticare che il problema vero della sterilità era legato alla scarsa e cattiva qualità degli ovociti, i medici hanno proposto una infinita lista di accertamenti e seguito un iter troppo lungo.

D: Perche’ dice troppo lungo? pensa che fosse possibile accorciare i tempi?

R: Nel nostro caso probabilmente sarebbe stato possibile ridurre i tempi. Vede, io sono cattolica praticante, (oggi con una fede un po’ traballante) ed ero convinta che i metodi anticoncezionali naturali – Ogino Knaus, coito interrotto, astensione – fossero attendibili perché per quattro anni nel nostro caso hanno funzionato. Solo dopo ho saputo che così non era e che quel periodo poteva essere considerato tempo utile per diagnosticare la nostra situazione di coppia sterile; invece sono passati altri due anni.

D: Qual’e’ stato il percorso che avete seguito lei e suo marito?

R: Quello che prevede il protocollo per coppie che come noi hanno un verdetto di “sterilità inspiegata” quindi rapporti mirati, inseminazioni, e Fivet; solo allora si è capito che i problemi erano più gravi di quanto si immaginasse.

D: Sono stati i medici a suggerire l’eterologa?

R: No! I medici sono sempre stati molto chiari sulla qualità degli ovociti; a quel punto noi pressavamo con domande sempre più incalzanti e consapevoli, ma loro non potevano dire “badate che vi occorre una eterologa”. Arriva il momento in cui si matura l’idea e quando abbiamo fatto loro questa domanda, chiaramente, si trovarono concordi sulla conclusione da noi raggiunta.

D: Dal punto di vista psicologico, l’aver accolto un ovocita di un’altra donna le ha creato problemi? E quali sentimenti prova per questa figura di donna?

R: Nel nostro caso specifico il problema era già superato nel momento in cui abbiamo fatto domanda di adozione, perché un figlio è tale anche se non possiede il tuo patrimonio genetico. Per quanto riguarda colei che ci ha offerto il suo ovocita, il sentimento che provo è di profonda gratitudine. Non mi sono mai chiesta com’è, né perché ha fatto questa scelta, penso solo che grazie a lei ho potuto dare la vita, ho potuto provare le meravigliose emozioni della gravidanza che tutte le donne che lo desiderano dovrebbero provare.

D: Lei non ha mai temuto, neppure per un istante, di poter rifiutare il bambino? Non ha mai avuto una “fantasia” in tal senso?

R: Ma lei scherza? Sono andata a prendermelo con le unghie questo bimbo, le pare che potessi avere anche un minimo dubbio? Se lei è mamma sa perché le rispondo in questo modo. È assolutamente impensabile rinunciare al proprio bambino.

D: Sì, io sono mamma, ma lo sono diventata in modo più semplice di quanto abbia potuto fare lei, lo senti subito parte di te; quindi anche lei ha provato le stesse cose?

R: Sì, l’ho sentito subito parte di me.

D: Però pare che questi “rifiuti”possano accadere, può capitare ….

R: Può capitare che due si separino dopo un’adozione, oppure che si separino dopo un percorso di fecondazione omologa, o ancora che il bambino venga rifiutato benché nato in modo naturale …. succede! In realtà quando le crisi avvengono, le cause sono legate alla fatica della gravidanza, del parto, del dopo parto, che già in condizioni normali rappresentano periodi problematici; per noi questa fatica è amplificata dai percorsi non facili della Procreazione Medico Assistita. Dunque se le crisi ci sono non sono certo perché mettiamo in discussione le scelte che abbiamo fatto.

D: Mentre cercavate un figlio attraverso le tecniche di fecondazione assistita, chi sapeva delle vostre scelte? I vostri familiari?

R: Inizialmente ho deciso di “chiudermi” perché credevo che sarei riuscita a risolvere il mio problema senza dover raccontare niente a nessuno. Poi il peso diventava sempre più gravoso, soprattutto i “perché” non avessimo ancora un figlio si facevano più incalzanti, specie nella nostra famiglia. Ho fatto quindi la scelta di iniziare ad “educare” i miei familiari, cioè genitori, suoceri, fratelli e cognati. Quando ritenevo opportuno, quando alla televisione si parlava di questi temi, io raccontavo la nostra esperienza, le nostre scelte.

D: Perché parla di educazione?

R: Perché si tratta di educare a questa nuova cultura, perché non siamo preparati. Quindi ritenevo necessario prepararli alla prospettiva che noi potessimo ricorrere alla PMA per avere un figlio; questo era importante per me e per quelli che sarebbero diventati i miei figli. Dovevano sapere che cosa significava per noi avere un figlio e cosa questo comportasse.

D: Quali sono state le loro impressioni? Hanno accettato le vostre scelte?

R: Chiaramente sono rimasti attoniti; non se l’aspettavano. Pensare che i problemi di cui senti parlare all’esterno in realtà esistono all’interno della famiglia, fa riflettere, pone tutto sotto una luce diversa, perché “non succede solo agli altri, può succedere anche a noi”. Ci hanno sostenuto accettando e rispettando le nostre scelte. Quindi c’è stata riflessione e rivalutazione del problema, comprendendo che le tecniche di PMA poco hanno a che fare con la clonazione umana, le chimere, e quanto altro spaventa l’immaginario collettivo. Sono convinta che se ciascuna coppia adottasse questo comportamento, facendo un’opera di sensibilizzazione all’interno della propria famiglia, il processo di cambiamento sarebbe molto più veloce ed efficace. Diventerebbe superfluo rilasciare interviste, partecipare a convegni, dibattiti, tavole rotonde, dove a parlare sono sempre coloro che poco o nulla sanno di come vive il problema una coppia sterile. Con piccole battaglie potremmo vincere la guerra.

D: Dal punto di vista della fede come spiega questo mostruoso accanimento nella ricerca di un figlio?

R: Molti lo chiamano accanimento, noi lo chiamiamo “amore”. Perché un accanimento non ci permetterebbe di superare tutto quello che le tecniche di PMA comportano, non potremmo andare così lontano; un accanimento si ferma molto prima, l’amore per un figlio no! Ti fa superare tutto.

D: Ma quando lei parla di amore per un figlio cosa intende? L’amore per una vita in generale o per un figlio vero? Perché capisco che una madre per un figlio è disposta a tutto, si fa dar fuoco se occorre, ma….?

R: Vede è lo stesso amore! Io sapevo che mio figlio c’era, dovevo solo andare a prenderlo.

D: E lei ha avuto occasione all’interno della associazione di scambiare queste problematiche di fede con altre coppie?

R: Mi è capitato di parlare con persone che iniziavano i percorsi e che si ponevano le stesse problematiche che io ho affrontato ed ho potuto raccontare come le ho risolte. Però credo che si tratti di un percorso interiore che deve essere maturato. Forse parlarne aiuta , però non ho la pretesa di trovare soluzioni. Sono crescite, percorsi individuali ma anche di coppia. Personalmente posso dire che il dialogo con mio marito è stato determinante, perché insieme abbiamo potuto ridimensionare i dubbi che ci ponevamo, se cioè quello che stavamo facendo era bene o male.

D: Queste persone con le quali lei ha parlato le sono sembrate molto angustiate? Le è sembrato che il problema sia frequente?

R: No! Le coppie che si pongono questi problemi non sono molte, o meglio, non emerge come dato. Credo che anche questo sia un problema che difficilmente viene esplicitato, che resta dentro perché non se ne vuole parlare. Perché è più facile allontanarsi dalla Chiesa, accettare il rifiuto, piuttosto che cercare il dialogo, cercare una soluzione interiore che ti permetta di stare “dentro”.

Personalmente ho avuto le mie crisi che mi hanno portato a cercare delle risposte parlando con i diversi rappresentanti della Chiesa. Ciò che è emerso da questi incontri è una diversità di opinioni personali che mi hanno condotto a trarre una conclusione: anche la Chiesa è formata da uomini e, come al suo esterno, esistono persone più o meno intelligenti e tolleranti.

D: Però è il Papa che vieta queste tecniche, lei cosa ne pensa?

R: Penso che non si tratta di un dogma; penso che anche in passato la Chiesa ha assunto posizioni rigide in merito a questioni che ha poi rivalutato a distanza di secoli; Galileo ha atteso 300 anni il perdono della Chiesa, noi coppie sterili non abbiamo tutto questo tempo a disposizione. Anche nei confronti dell’adozione c’è stata resistenza in passato e solo dopo che la Chiesa ha rivalutato questo istituto la società ha qualificato “bravi” coloro che ricorrono all’adozione per avere un figlio. Queste cose le dobbiamo dire.

D: Ma lei cosa condivide dell’idea che così si violano i disegni di Dio, che ci si arroga il diritto di fare ciò che Dio non ha voluto, che si crea un grande disordine dal punto di vista della discendenza, dell’etica…?

R: Non riesco a condividere queste preoccupazioni perché possiedo un sentimento dominante, una convinzione dominante, e cioè che Dio è Amore ed è fonte della Vita. Se questo è vero allora non si può discutere altro; non posso pensare ad un Dio che mi ama a che allo stesso tempo mi infligga quello che altri considerano un castigo; non riesco a conciliare queste due cose. Ed allora sono convinta di aver fatto bene a fare quello che ho fatto. Se non fosse stato nel progetto di Dio mio figlio non sarebbe mai nato, sarebbe bastata una scissione cellulare sbagliata….

D: Secondo lei sarebbe utile che queste riflessioni, che rimangono sotterranee, venissero fuori? Non sarebbe di conforto alle coppie sapere che esiste una associazione di genitori, anche cattolici, che hanno fatto questa scelta, che su questo riflettono e che fanno la loro proposta alla Chiesa?

R: Si, credo che sarebbe importante!

D: Però questo non accade! E mentre i cattolici fanno le loro crociate furibonde contro l’eterologa e si fanno sentire, le coppie e coloro che hanno posizioni più possibiliste tacciono, perché?

R: Non lo fanno perché non sanno di essere così tanti, perché la nostra società non è ancora pronta ad accettare. Se io dovessi prestare la mia faccia in TV e dire “io ho fatto questa scelta” domani mattina sarei su tutti i giornali della Sardegna e mio figlio diventerebbe un fenomeno da baraccone. Se invece ci fosse la certezza, e la consapevolezza di essere tanti, se si parlasse apertamente nelle famiglie e ci si rendesse conto che nell’ambito di ciascuna di esse esiste una coppia che ha fatto scelte di questo tipo, ci sarebbe terreno più fertile per parlare apertamente di queste cose. Oggi ritengo che sbandierare la mia esperienza non sarebbe utile a nessuno, meno che mai, a mio figlio; ritengo di agire per il meglio operando localmente, all’interno della associazione e continuando la mia opera dentro la mia famiglia, senza avere la pretesa di cambiare il mondo in un solo colpo.

D: Per finire, cosa dirà a suo figlio?

R: Tutto! Dirò quanto lo abbiamo cercato ed amato prima ancora che nascesse. Sto scrivendo per lui le sensazioni, le piccole conquiste, perché la memoria non sbiadisca.

lunedì 9 giugno 2008

QUELLO CHE LE DONNE NON DICONO


una canzone abbastanza nota di qualche anno fa
presta il titolo all'esperienza raccontata da una nostra socia


A distanza di un anno dalla nascita di Giacomo riesco a riflettere su una domanda che, a suo tempo, mi venne rivolta da un medico: "Ma cosa si prova alla settima Fivet? come la si affronta?" Allora risposi senza pensare dicendo che si affrontava tutto con più consapevolezza, senza illusioni, sapendo delle limitate percentuali di successo.
Era una bugia!!! Senza quelle illusioni mio figlio non sarebbe mai nato!
Oggi posso rispondere con più serenità perchè posso guardare senza paura a quei sentimenti che accantonavo, che ricacciavo indietro per non soffrire troppo. Solo oggi posso analizzare "clinicamente", "da esperta del problema", le varie fasi di una Fivet, e delle diverse Fivet che si succedono: le fasi psicologiche intendo.
perchè non è la fatica fisica che spaventa noi donne, nè le "manipolazioni" cui veniamo sottoposte, nè quegli occhi estranei che necessariamente scrutano le nostre parti più intime, nè ancora le fastidiose conseguenze delle terapie routinarie.
E' la solitudine, è la folla di pensieri, ora euforici ora deprimenti, che non ci permette di sopportare quei lunghissimi quindici giorni che separano il transfer dal test di gravidanza. Pensieri che non puoi tradurre in parole perchè non sempre c'è chi è disposto ad ascoltare, perchè si ha paura di annoiare, perchè sopratutto non si vuol dare voce a quel tormento.
Neppure il tuo compagno può capire, nonostante tutto il suo impegno, perchè un uomo "non vede" e "non prova" quello che ti succede. Ed a nulla valgono le esortazioni di chi vive indirettamente la tua esperienza: "non pensarci, vivi la tua vita di sempre".
Non puoi! Perchè i "periodi Fivet" sono totalizzanti, assorbono ogni tuo pensiero, perchè tutto è in funzione degli orari e degli appuntamenti per prelievi, ecografie, iniezioni.
Ed il primo timore è quello di "non produrre nulla", fermarsi a quel grande ostacolo che si chiama transfer e guardare le tue compagne di avventura andare avanti senza poterle seguire.
Poi arriva il giorno tanto atteso quanto temuto, ed inizia la scansione delle ore, fino al verdetto, spietato, che condanna ingiustamente: il test è negativo. E si precipita! Talvolta arrivano le lacrime, talvolta si stà lì, attoniti, a chiedersi perchè!
Succede anche che il test sia positivo. Ti illude, senti di aver conquistato il mondo intero, per poi ricadere, più malamente di prima, quando ti dicono che "il suo cuoricino ha cessato di battere".
E non vorresti fartelo portare via! Invece ti ritrovi su un lettino freddo di una sala operatoria a subire un raschiamento che non volevi, e ti risvegli con il pianto sommesso di chi, al tuo fianco, non ha parole di consolazione.
E poi devi ritrovare la forza, dentro di te, solo e soltanto dentro di te. Si ricompongono i tasselli saltati, si ricomincia la vita dal punto in cui la si era lasciata in sospeso.
Con il passare del tempo però, sale sottile e prepotente la rabbia, quel sentimento che non ti fa accettare la resa, che ti costringe a sollevare il telefono per rimetterti in lista di attesa.
Ricomincia così un nuovo ciclo: la speranza, la voglia di riprovare, l'euforia che precede ogni novo tentativo, l'illusione che finalmente sia "la volta buona".
A me è successo! "La volta buona" è arrivata davvero: non è stato facile perchè non è stata una gravidanza serena, ma ci sono riuscita; proprio quando avevo deciso che non volevo più illudermi per non soffrire ancora.
Ora dico grazie a tutti! A coloro che mi hanno aiutato e che mi sono stati vicini, ma sopratutto dico (sottovoce) grazie a me che sono donna, perchè solo noi donne abbiamo questa forza che ci permette di andare al di là di ogni ragionevole ostacolo.

martedì 3 giugno 2008

CASA CICOGNA


L'associazione, allo scopo di raccogliere fondi per l'attività sociale, offre delizioso bivano a 700 m dalla splendida spiaggia del poetto. Disponibilità in ogni periodo dell'anno in favore di chi versa un contributo liberale.